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P A R T E . | 247 |
SONETTO CCCIV.
Che mai splendesse, et da più bei capelli,
Che facean l’oro e ’l sol parer men belli,
4Dal più dolce parlare et dolce riso,
Da le man’, da le braccia che conquiso
Senza moversi avrian quai più rebelli
Fur d’Amor mai, da’ più bei piedi snelli,
8Da la persona fatta in paradiso,
Prendean vita i miei spirti: or n’à diletto
Il Re celeste, i Suoi alati corrieri;
11Et io son qui rimaso ignudo et cieco.
Sol un conforto a le mie pene aspetto:
Ch’ella, che vede tutt’i miei penseri,
14M’impetre grazia, ch’i’ possa esser seco.
SONETTO CCCV.
Che madonna mi mande a sè chiamando:
Così dentro et di for mi vo cangiando,
4Et sono in non molt’anni sì dimesso,
Ch’a pena riconosco omai me stesso;
Tutto ’l viver usato ò messo in bando.
Sarei contento di sapere il quando,
8Ma pur dovrebbe il tempo esser da presso.
O felice quel dì che, del terreno
Carcere uscendo, lasci rotta et sparta
11Questa mia grave et frale et mortal gonna,
Et da sì folte tenebre mi parta,
Volando tanto su nel bel sereno,
14Ch’i’ veggia il mio Signore et la mia donna.