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P A R T E. | 245 |
SONETTO CCC.
Non perch’i’sappia il quando: or è sì amara,
Che nulla più; ben sa ’l ver chi l’impara
4Com’ò fatt’io con mio grave dolore.
Quella che fu del secol nostro onore,
Or è del ciel che tutto orna et rischiara,
Fe’ mia requie a’ suoi giorni et breve et rara:
8Or m’à d’ogni riposo tratto fore.
Ogni mio ben crudel Morte m’à tolto:
Nè gran prosperità il mio stato avverso
11Può consolar di quel bel spirto sciolto.
Piansi et cantai: non so più mutar verso;
Ma dì et notte il duol ne l’alma accolto
14Per la lingua et per li occhi sfogo et verso.
SONETTO CCCI.
La mia lingua avviata a lamentarsi,
A dir di lei per ch’io cantai et arsi
4Quel che, se fusse ver, torto sarebbe:
Ch’assai ’l mio stato rio quetar devrebbe
Quella beata, e ’l cor racconsolarsi
Vedendo tanto lei domesticarsi
8Con Colui che vivendo in cor sempre ebbe.
Et ben m’acqueto, et me stesso consolo;
Nè vorrei rivederla in questo inferno,
11Anzi voglio morire et viver solo:
Chè più bella che mai con l’occhio interno
Con li angeli la veggio alzata a volo
14A piè del suo, e mio Signore eterno.