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242 SECONDA

SONETTO CCXCIV.


L
Asciato hai, Morte, senza Sole il mondo

     Oscuro, e freddo, Amor cieco, e inerme,
     Leggiadria ignuda, le bellezze inferme,
     4Me sconsolato et a me grave pondo,
Cortesia in bando et Honestate in fondo.
     Dogliom’io sol, nè sol ò da dolerme,
     Chè svelt’ài di vertute il chiaro germe:
     8Spento il primo valor, qual fia il secondo?
Pianger l’aer et la terra e ’l mar devrebbe
     L’uman legnaggio, che senz’ella è quasi
     11Senza fior’ prato, o senza gemma anello.
Non la conobbe il mondo mentre l’ebbe:
     Conobbil’io, ch’a pianger qui rimasi,
     14E ’l ciel, che del mio pianto or si fa bello.


SONETTO CCXCV.


C
Onobbi; quanto il ciel li occhi m’aperse,

     Quanto studio et Amor m’alzaron l’ali,
     Cose nove et leggiadre, ma mortali,
     4Che ’n un soggetto ogni stella cosperse:
L’altre tante sì strane et sì diverse
     Forme altere, celesti et immortali,
     Perchè non furo a l’intellecto eguali,
     8La mia debil vista non sofferse.
Onde quant’io di lei parlai nè scrissi,
     Ch’or per lodi anzi a Dio preghi mi rende,
     11Fu breve stilla d’infiniti abissi:
Chè stilo oltra l’ingegno non si stende;
     Et per aver uom li occhi nel Sol fissi,
     14Tanto si vede men quanto più splende.