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P A R T E . | 233 |
SONETTO CCLXXXIV.
Che pochi ò visto in questo viver breve,
Giunto era, et facto ’l cor tepida neve
4Forse presago de dì tristi et negri.
Qual à già i nervi e i polsi e i pensier’egri
Cui domestica febbre assalir deve,
Tal mi sentia, non sappiend’io che leve
8Venisse ’l fin de’ miei ben’non integri.
Li occhi belli, or in ciel chiari et felici
Del lume onde salute et vita piove,
11Lasciando i miei qui miseri et mendici,
Dicean lor con faville honeste et nove:
- Rimanetevi in pace, o cari amici.
14Qui mai più no, ma rivedrenne altrove. -
SONETTO CCLXXXV.
O stelle congiurate a ’mpoverirme!
O fido sguardo, or che volei tu dirme,
4Partend’io per non esser mai contento?
Or conosco i miei danni, or mi risento:
Ch’i’ credeva (ahi, credenze vane e ’nfirme)
Perder parte, non tutto, al dipartirme;
8Quante speranze se ne porta il vento!
Chè già ’l contrario era ordinato in cielo,
Spegner l’almo mio lume ond’io vivea,
11Et scritto era in sua dolce amara vista;
Ma ’nnanzi agli occhi m’era post’un velo
Che mi fea non veder quel ch’i’ vedea,
14Per far mia vita sùbito più trista.