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212 S E C O N D A

SONETTO CCLIV.


S
Oleano i miei penser’ soavemente

     Di lor obgetto ragionare inseme:
     - Pietà s’appressa, e del tardar si pente;
     4Forse or parla di noi, o spera, o teme. -
Poi che l’ultimo giorno et l’ore extreme
     Spogliâr di lei questa vita presente,
     Nostro stato dal ciel vede, ode et sente:
     8Altra di lei non è rimaso speme.
O miracol gentile, o felice alma,
     O beltà senza exempio altera et rara,
     11Che tosto è ritornata ond’ella uscìo!
Ivi à del suo ben far corona et palma
     Quella ch’al mondo sì famosa et chiara
     14Fe’ la sua gran vertute, e ’l furor mio.



SONETTO CCLV.


I
mi soglio accusare, et or mi scuso,

     Anzi me pregio et tengo assai più caro,
     De l’onesta pregion, del dolce amaro
     4Colpo, ch’i’ portai già molt’anni chiuso.
Invide Parche, sì repente il fuso
     Troncaste, ch’attorcea soave et chiaro
     Stame al mio laccio, et quello aurato et raro
     8Strale, onde morte piacque oltra nostro uso!
Chè non fu d’allegrezza a’ suoi dì mai,
     Di libertà, di vita alma sì vaga,
     11Che non cangiasse ’l suo natural modo,
Togliendo anzi per lei sempre trar guai
     Che cantar per qualunque, e di tal piaga
     14Morir contenta, et viver in tal nodo.