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202 S E C O N D A

SONETTO CCXXXIV.


O
Cchi miei, oscurato è ’l nostro sole;

     Anzi è salito al cielo, et ivi splende:
     Ivi il vedremo anchora, ivi n’attende,
     4Et di nostro tardar forse li dole.
Orecchie mie, l’angeliche parole
     Sonano in parte ove è chi meglio intende.
     Pie’ miei, vostra ragion là non si stende
     8Ov’è colei ch’esercitar vi sòle.
Dunque perchè mi date questa guerra?
     Già di perdere a voi cagion non fui
     11Vederla, udirla et ritrovarla in terra:
Morte biasmate; anzi laudate Lui
     Che lega et scioglie, e ’n un punto apre et serra.
     14E dopo ’l pianto sa far lieto altrui.



SONETTO CCXXXV.


P
Oi che la vista angelica, serena,

     Per sùbita partenza in gran dolore
     Lasciato à l’alma e ’n tenebroso horrore,
     4Cerco parlando d’allentar mia pena.
Giusto duol certo a lamentar mi mena:
     Sassel chi n’è cagione, et sallo Amore,
     Ch’altro rimedio non avea ’l mio core
     8Contra i fastidi onde la vita è piena.
Questo un, Morte, m’à tolto la tua mano;
     Et tu che copri et guardi et ài or teco,
     11Felice terra, quel bel viso humano,
Me dove lasci, sconsolato et cieco,
     Poscia che ’l dolce et amoroso et piano
     14Lume degli occhi miei non è più meco?