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P A R T E . 183

SONETTO CCXVII.


L
A sera desiar, odiar l’aurora

     Soglion questi tranquilli, e lieti amanti:
     A me doppia la sera e doglia, e pianti:
     4La mattina è per me più felice ora:
Che spesso in un momento apron’allora
     L’un Sole, e l’altro quasi duo Levanti,
     Di beltade, e di lume sì sembianti,
     8Ch’anco ’l ciel della terra s’innamora;
Come già fece allor ch’i primi rami
     Verdeggiar che nel cor radice m’hanno,
     11Per cui sempre altrui più che me stess’ami.
Così di me due contrarie ore fanno;
     E chi m’acqueta, è ben ragion ch’i’ brami;
     14E tema, e odj chi m’adduce affanno.



SONETTO CCXVIII.


F
Ar potess’io vendetta di colei

     Che guardando, e parlando mi distrugge,
     E per più doglia poi s’asconde, e fugge,
     4Celando gli occhi a me sì dolci, e rei;
Così gli afflitti, e stanchi spirti mei
     A poco a poco consumando sugge;
     E ’n sul cor, quasi fero leon, rugge
     8La notte allor quand’io posar devrei.
L’alma; cui Morte del suo albergo caccia;
     Da me si parte; e di tal nodo sciolta
     11Vassene pur’a lei che la minaccia.
Meravigliomi ben, s’alcuna volta
     Mentre le parla, e piange, e poi l’abbraccia,
     14Non rompe ’l sonno suo, s’ella l’ascolta.