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CANZONE XXXVII.
Nè lassù sopra ’l cerchio della Luna
Vide mai tante stelle alcuna notte;
Nè tanti augelli albergan per li boschi;
5Nè tant’erbe ebbe mai campo, nè piaggia,
Quant’ha ’l io mio cor pensier ciascuna sera.
Di dì in dì spero omai, l’ultima sera
Che scevri in me dal vivo terren l’onde,
E mi lasci dormir in qualche piaggia:
10Che tanti affanni uom mai sotto la Luna
Non sofferse, quant’io: sannolsi i boschi,
Che sol vo ricercando giorno, e notte.
I' non ebbi già mai tranquilla notte:
Ma sospirando andai mattino, e sera,
15Poi ch’Amor femmi un cittadin de’ boschi.
Ben fia in prima ch’i’ posi, il mar senz’onde;
E la sua luce avrà ’l Sol dalla Luna,
E i fior d’April morranno in ogni piaggia.
Consumando mi vo di piaggia in piaggia
20Il dì pensoso; poi piango la notte;
Nè stato ho mai, se non quanto la Luna.
Ratto, come imbrunir veggio la sera,
Sospir del petto, e degli occhi escon'onde
Da bagnar l’erbe, e da crollare i boschi.
25Le città son nemiche, amici i boschi
A’miei pensier, che per quest’alta piaggia
Sfogando vo col mormorar dell’onde
Per lo dolce silenzio della notte,
Tal, ch’io aspetto tutto ’l dì la sera,
30Che ’l Sol si parta, e dia luogo alla Luna.
Deh or foss’io col Vago della Luna
Addormentato in qualche verdi boschi,
E questa ch’anzi vespro a me fa sera,