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P A R T E . 171

SONETTO CXCIX.


L
Asso, Amor mi trasporta ov’io non voglio,

     E ben m’accorgo che ’l dever si varca:
     Onde a chi nel mio cor siede monarca,
     4Son’importuno assai più ch’i’ non soglio:
Nè mai saggio nocchier guardò da scoglio
     Nave di merci preziose carca;
     Quant’io sempre la debile mia barca
     8Dalle percosse del suo duro orgoglio.
Ma lagrimosa pioggia, e fieri venti
     D’infiniti sospiri or l’hanno spinta:
     11Ch’è nel mio mar’orribil notte, e verno;
Ov’altrui noje, a sè doglie, e tormenti
     Porta, e non altro, già da l’onde vinta,
     14Disarmata di vele, e di governo.



SONETTO CC.


A
Mor, io fallo, e veggio il mio fallire:

     Ma fo sì, com’uom ch’arde, e ’l foco ha’n seno;
     Che ’l duol pur cresce, e la ragion vien meno,
     4Ed è già quasi vinta dal martire.
Solea frenare il mio caldo desire,
     Per non turbar’il bel viso sereno:
     Non posso più; di man m’hai tolto il freno;
     8E l’alma disperando ha preso ardire.
Però s’oltra suo stile ella s’avventa;
     Tu ’l fai; che sì l’accendi, e sì la sproni,
     11Ch’ogni aspra via per sua salute tenta;
E più ’l fanno i celesti, e rari doni
     C’ha in sè Madonna: or fa’lmen, ch’ella il senta;
     14E le mie colpe a se stessa perdoni.