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P A R T E . | 169 |
SONETTO CXCV.
Senza lagrime, e senza invidia alcuna:
Che s’altro amante ha più destra fortuna,
4Mille piacer non vaglion' un tormento.
Or que' belli occhi ond’io mai non mi pento
Delle mie pene, e men non ne voglio una;
Tal nebbia copre, sì gravosa, e bruna,
8Che ’l Sol della mia vita ha quasi spento.
O Natura, pietosa, e fera madre,
Onde tal possa, e sì contrarie voglie
11Di far cose, e disfar tanto leggiadre?
D’un vivo fonte ogni poder s’accoglie:
Ma tu, come ’l consenti, o sommo Padre,
14Che del tuo caro dono altri ne spoglie?
SONETTO CXCVI.
Et fel minor' in parte, che Filippo:
Che li val se Pirgotile, e Lisippo
4L’intagliar sol,o e Apelle il depinse?
L’ira Tidèo a tal rabbia sospinse,
Che morend'ei, si rose Menalippo:
L’ira cieco del tutto, non pur lippo,
8Fatto avea Silla, all’ultimo l’estinse.
Sal Valentinian, ch’a simil pena
Ira conduce; e sal quei che ne more,
11Ajace in molti, e po' in se stesso forte.
Ira è breve furor'; e chi nol frena,
È furor lungo, che ’l suo possessore
14Spesso a vergogna, e talor mena a morte.