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SONETTO CLXXXI.


G
desiai con sì giusta querela,

     E ’n sì fervide rime farmi udire,
     Ch’un foco di pietà fessi sentire
     4Al duro cor ch’a mezza state gela;
E l’empia nube, che ’l raffredda, e vela,
     Rompesse all’aura del mi’ ardente dire;
     O fessi quell’altru' in odio venire,
     8Che i belli, onde mi struggo, occhi mi cela.
Or non odio per lei, per me pietate
     Cerco: che quel non vo’, questo non posso:
     11Tal fu mia stella, e tal mia cruda sorte:
Ma canto la divina sua beltate,
     Che, quand’i’ sia di questa carne scosso
     14Sappia ’l mondo che dolce è la mia morte.



SONETTO CLXXXII.


T
Ra quantunque leggiadre donne, e belle

     Giunga costei, ch’al mondo non ha pare;
     Col suo bel viso suol dell’altre fare
     4Quel che fa ’l dì delle minori stelle.
Amor par ch’all’orecchie mi favelle,
     Dicendo: Quanto questa in terra appare;
     Fia ’l viver bello; e po’l vedrem turbare,
     8Perir vertuti, e ’l mio regno con elle.
Come Natura al ciel la Luna e ’l Sole;
     All’aere i venti; alla terra erbe, e fronde;
     11All’uomo e l’intelletto, e le parole;
E al mar ritogliesse i pesci, e l’onde;
     Tanto, e più fien le cose oscure, e sole,
     14Se Morte li occhi suoi chiude, ed asconde.