Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
146 | P R I M A |
SONETTO CLXI.
Destando i fior per questo ombroso bosco,
Al soave suo spirto riconosco;
4Per cui convien che ’n pena, e ’n fama poggi.
Per ritrovar ove ’l cor lasso appoggi,
Fuggo dal mio natio dolce aere Tosco:
Per far lume al pensier torbido, e fosco,
8Cerco ’l mio Sole; e spero vederlo oggi:
Nel qual provo dolcezze tante, e tali,
Ch’Amor per forza a lui mi riconduce;
11Poi sì m’abbaglia, che ’l fuggir m’è tardo.
Io chiedre' a scampar, non arme, anzi ali:
Ma perir mi dà ’l ciel per questa luce;
14Chè da lunge mi struggo, e da press'ardo.
SONETTO CLXII.
Nè però smorso i dolci inescati ami;
Nè sbranco i verdi, ed invescati rami
4De l’arbor che nè Sol cura, nè gielo.
Senz’acqua il mare, e senza stelle il cielo
Fia inanzi, ch’io non sempre tema, e brami
La sua bell’ombra; e ch’i’ non odi, ed ami
8L’alta piaga amorosa, che mal celo.
Non spero del mio affanno aver mai posa
Infin ch’i’ mi disosso, e snervo, e spolpo,
11O la nemica mia pietà n’avesse.
Esser può in prima ogni impossibil cosa,
Ch’altri che Morte, od ella sani ’l colpo
14Ch’Amor co’ suoi begli occhi al cor m’impresse.