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SONETTO CXLIX.


A
Mor, che ’ncede il cor d’ardente zelo,

     Di gelata paura il tien costretto;
     E qual sia più, fa dubbio all’intelletto,
     4La speranza, o ’l timor, la fiamma, o ’l gelo.
Tremo al più caldo, ardo al più freddo cielo,
     Sempre pien di desire, e di sospetto,
     Pur come donna in un vestire schietto
     8Celi un'uom vivo, o sott'un picciol velo.
Di queste pene è mia propria la prima
     Arder dì, e notte; e quanto è ’l dolce male,
     11Nè ’n pensier cape, non che ’n versi, o ’n rima:
L’altra non già; chè ’l mio bel foco è tale,
     Ch’ogni uom pareggia; e del suo lume in cima
     14Chi volar pensa, indarno spiega l’ale.



SONETTO CL.


S
E ’l dolce sguardo di costei m’ancide,

     E le soavi parolette accorte;
     E s’Amor sopra me la fa sì forte
     4Sol quando parla, ovver quando sorride;
Lasso, che fia, se forse ella divide,
     O per mia colpa, o per malvagia sorte,
     Gli occhi suoi da mercè; sìcchè di morte,
     8Là dove or m’assecura, allor mi sfide?
Però s’i’ tremo, e vo col cor gelato,
     Qualor veggio cangiata sua figura,
     11Questo temer d’antiche prove è nato.
Femina è cosa mobil per natura;
     Ond’io so ben, ch’un'amoroso stato
     14In cor di donna picciol tempo dura.