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P A R T E. 139

SONETTO CXLVII.


P
O, ben puo’ tu portartene la scorza

     Di me con tue possenti, e rapid'onde:
     Ma lo spirto, ch’iv’entro si nasconde,
     4Non cura nè di tua, nè d’altrui forza:
Lo qual senz’alternar poggia con orza
     Dritto per l’aure suo desir seconde
     Battendo l’ali verso l’aurea fronde,
     8L’acqua, e ’l vento, e la vela, e i remi sforza.
Re degli altri, superbo, altero fiume;
     Che ’ncontri ’l Sol quando e’ne mena ’l giorno,
     11E ’n Ponente abbandoni un più bel lume;
Tu te ne vai col mio mortal sul corno:
     L’altro coverto d’amorose piume
     14Torna volando al suo dolce soggiorno.



SONETTO CXLVIII.


A
Mor fra l’erbe una leggiadra rete

     D’oro e di perle tese sott’un ramo
     Dell’arbor sempre verde ch’i’ tant’amo,
     4Benche n’abbia ombre più triste, che liete:
L’esca fu ’l seme ch’egli sparge, e miete
     Dolce, ed acerbo; ch’io pavento e bramo:
     Le notte non fur mai dal dì ch’Adamo
     8Aperse gli occhi, sì soavi, e quete:
E ’l chiaro lume che sparir fa ’l Sole,
     Folgorava d’intorno; e ’l fune avvolto
     11Era alla man ch’avorio, e neve avanza:
Così caddi alla rete; e qui m’han colto
     Gli atti vaghi, e l’angeliche parole,
     14E ’l piacer, e ’l desire, e la speranza.