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SONETTO CXLV.
Assecura, e spaventa; arde, ed agghiaccia;
Gradisce, e sdegna, a sè mi chiama, e scaccia:
4Or mi tene in speranza, ed or' in pena.
Or alto, or basso il mio cor lasso mena,
Onde ’l vago desir perde la traccia;
E ’l suo sommo piacer par che li spiaccia;
8D’error sì novo la mia mente è piena.
Un' amico pensier le mostra il vado,
Non d’acqua che per gli occhi si risolva,
11Da gir tosto ove spera esser contenta:
Poi; quasi maggior forza indi la svolva;
Conven ch’altra via segua, e mal suo grado
14Alla sua lunga, e mia morte consenta.
SONETTO CXLVI.
La mia dolce nemica, ch’è sì altera,
Un conforto m’è dato, ch’i’ non pera,
4Solo per cui vertù l’alma respira;
Ovunqu'ella sdegnando gli occhi gira,
Che di luce privar mia vita spera;
Le mostro i miei pien’ d’umiltà sì vera,
8Ch’a forza ogni suo sdegno indietro tira.
Se ciò non fosse, andrei non altramente
A veder lei, che ’l volto di Medusa;
11Che facea marmo diventar la gente.
Così dunque fa tu; ch’i’ veggo esclusa
Ogni altr'aita, e ’l fuggir val niente
14Dinanzi all’ali che ’l Signor nostro usa.