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SONETTO CXLI.
Quant’alcun crede) fu, sotto ch’io nacqui;
E fera cuna, dove nato giacqui;
4E fera terra, ov’e piè mossi poi;
E fera donna, che con gli occhi suoi,
E con l’arco a cui sol per segno piacqui,
Fe’ la piaga onde, Amor, teco non tacqui;
8Che con quell’arme risaldarla puoi.
Ma tu prendi a diletto i dolor miei:
Ella non già; perchè non son più duri,
11E ’l colpo è di saetta, e non di spiedo.
Pur mi consola, che languir per lei
Meglio è che gioir d’altra; e tu me ’l giuri
14Per l’orato tuo strale; ed io tel credo.
SONETTO CXLII.
Ov’io perdei me stesso; e ’l caro nodo
Ond’Amor di sua man m’avvinse in modo,
4Che l’amar mi fè dolce, e ’l pianger gioco;
Solfo, e esca son tutto, e ’l cor' un foco,
Da quei soavi spirti, i quai sempr'odo,
Acceso dentro sì, ch’ardendo godo,
8E di ciò vivo, e d’altro mi cal poco.
Quel Sol, che solo agli occhi miei risplende,
Co i vaghi raggi ancor' indi mi scalda
11A vespro tal, qual era oggi per tempo:
E così di lontan m’alluma, e ’ncende,
Che la memoria ad ognor fresca, e salda
14Pur quel nodo mi mostra, e ’l loco e, ’l tempo.