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SONETTO CXXV.
Per quetar la vaghezza che gli spinge;
Trovo chi bella donna ivi dipinge,
4Per far sempre mai verdi i miei desiri.
Con leggiadro dolor par ch’ella spiri
Alta pietà, che gentil core stringe:
Oltra la vista agli orecchi orna e ’nfinge
8Sue voci vive, e suoi santi sospiri.
Amor', e ’l ver fur meco a dir che quelle
Ch’i’ vidi, eran bellezze al mondo sole,
11Mai non vedute più sotto le stelle.
Nè sì pietose, e sì dolci parole
S’udiron mai; nè lagrime sì belle
14Di sì begli occhi uscir vide mai il Sole.
SONETTO CXXVI.
Era l’essempio onde Natura tolse
Quel bel viso leggiadro, in ch’ella volse
4Mostrar quaggiù quanto lassù potea?
Qual Ninfa in fonti, in selve mai qual Dea,
Chiome d’oro sì fino all’aura sciolse?
Quand'un cor tante in sè virtuti accolse?
8Benchè la somma è di mia morte rea.
Per divina bellezza indarno mira
Chi gli occhi di costei giammai non vide,
11Come soavemente ella gli gira.
Non sa com'Amor sana, e come ancide,
Chi non sa come dolce ella sospira,
14E come dolce parla, e dolce ride.