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SONETTO CXXI.


L
E stelle, e'l cielo, e gli elementi a prova

     Tutte lor' arti, ed ogni estrema cura
     Poser nel vivo lume in cui Natura
     4Si specchia, e ’l Sol ch’altrove par non trova.
L’opra è sì altera, sì leggiadra, e nova,
     Che mortal guardo in lei non s’assicura;
     Tanta negli occhi bei for di misura
     8Par ch’Amor' e dolcezza, e grazia piova.
L’aere percosso da’ lor dolci rai
     S’infiamma d’onestate; e tal diventa,
     11Che ’l dir nostro, e ’l pensier vince d’assai.
Basso desir non è ch’ivi si senta,
     Ma d’onor, di virtute. Or quando mai
     14Fu per somma beltà vil voglia spenta?



SONETTO CXXII.


N
On fur mai Giove, e Cesare sì mossi,

     A fulminar colui, questo a ferire,
     Che pietà non avesse spente l’ire,
     4E lor dell’usat'arme ambeduo scossi.
Piangea Madonna; e ’l mio Signor, ch’i’ fossi,
     Volse, a vederla, e suoi lamenti a udire;
     Per colmarmi di doglia, e di desire,
     8E ricercarmi le midolle, e gli ossi.
Quel dolce pianto mi dipinse Amore,
     Anzi scolpìo, e que’ detti soavi
     11Mi scrisse entr'un diamante in mezzo ’l core;
Ove con salde, ed ingegnose chiavi
     Ancor torna sovente a trarne fore
     14Lagrime rare, e sospir lunghi e gravi.