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PARTE. | 119 |
CANZONE XXXII.
Corsi, fuggendo un dispietato lume,
Che’n fin quaggiù m’ardea dal terzo cielo;
Et disgombrava già di neve i poggi
5L’aura amorosa, che rinnova il tempo;
Et fiorian per le piagge l’erbe, e i rami.
Non vide il mondo sì leggiadri rami,
Nè mosse ’l vento mai sì verdi frondi;
Come a me si mostrar quel primo tempo;
10Tal, che temendo dell’ardente lume
Non volsi al mio refugio ombra di poggi,
Ma della pianta più gradita in cielo.
Un Lauro mi difese allor dal cielo:
Onde più volte vago de’ bei rami
15Da po’ son gito per selve, e per poggi;
Nè giàmmai ritrovai tronco, nè frondi
Tant’onorate dal superno lume;
Che non cangiasser qualitate a tempo.
Però più fermo ogni or di tempo in tempo
20Seguendo ove chiamar m’udìa dal cielo,
E scorto d’un soave, e chiaro lume
Tornai sempre devoto a i primi rami,
E quando a terra son sparte le frondi,
E quando ’l Sol fa verdeggiar i poggi.
25Selve, sassi, campagne, fiumi, e poggi,
Quant’è creato, vince, e cangia il tempo:
Ond’io cheggio perdono a queste frondi,
Se rivolgendo poi molt’anni il cielo
Fuggir disposi gl’invescati rami,
30Tosto ch’incominciai di veder lume.
Tanto mi piacque prima il dolce lume,
Ch’i passai con diletto assai gran poggi,
Per poter appressar gli amati rami: