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P A R T E. | 105 |
5Spera ’l Tevero, e l’Arno,
E ’l Po, dove doglioso, e grave or seggio.
Rettor del ciel', io cheggio,
Che la pietà che ti condusse in terra,
Ti volga al Tuo diletto almo paese.
10Vedi, Signor cortese,
Di che lievi cagion che crudel guerra:
E i cor, che ’ndura, e serra
Marte superbo, e fero,
Apri Tu, Padre, e ’ntenerisci, e snoda:
15Ivi fa che ’l tuo vero
(Qual io mi sia) per la mia lingua s’oda.
Voi cui Fortuna ha posto in mano il freno
Delle belle contrade;
Di che nulla pietà par che vi stringa;
20Che fan qui tante pellegrine spade?
Perchè ’l verde terreno
Del barbarico sangue si dipinga?
Vano error vi lusinga:
Poco vedete, e parvi veder molto:
25Chè ’n cor venale amor cercate, o fede.
Qual più gente possede,
Colui è più da’ suoi nemici avvolto.
O diluvio raccolto
Di che deserti strani
30Per innondar i nostri dolci campi!
Se dalle proprie mani
Questo n’avven' or chi fia che ne scampi?
Ben provide Natura al nostro stato,
Quando dell’Alpi schermo
35Pose fra noi, e la tedesca rabbia.
Ma ’l desir cieco, e ’ncontra ’l suo ben fermo,
S’è poi tanto ingegnato.
Ch’al corpo sano ha procurato scabbia.
Or dentro ad una gabbia
40Fere selvagge, e mansuete gregge
S'an-