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DEL PETRARCA. xix

la stampa una Lettera sotto nome di Sennuccio del Bene, amicissimo del Petrarca, scritta al Signor di Verona, della detta incoronazione, piena di tante inezie, e cose indegne, ed impertinenti, ch’è una vergogna. E per questa facilità, e licenza delle stampe cresciuta oggidì tanto, non solo la detta Lettera ho veduto, ma delle altre ancora sotto nome d’antichi autori, come Dante, M. Cino, ed altri, pubblicate solo per far carico o a signori, o a privati, con iscorno di questo secolo, che cose tali, e peggiori comporta. Nè fu così accorto l’inventore di quella favola, che s’avvedesse che non s’accorda il suo tempo della festa con quello che ne scrive il Petrarca medesimo, facendola esso far di Maggio il giorno dell’Ascensione, dove che fu d’Aprile, com’è detto. Nè s’avvide anco dicendo che perciò fu data la pieve d’Arquato al Petrarca, ch’esso non ebbe, nè volle mai beneficj curati, come si dirà di sotto. E lo stile pur troppo, senza parlarne più, mostra ch’è farina di questo tempo, e non di quello del Petrarca; come facilmente giudicherà chi ha qualche pratica delle scritture antiche. Queste cose ho voluto dire per lo stomaco che mi fa la vana, e sciocca malignità di simili presuntuosi.

E tornando alle cose di sopra, dico che onorato della corona il Petrarca in Roma, se ne passò in Lombardia1, ove da tutti quei Signori era amato grandemente, e giunto a Parma, signoreggiata allora da quelli da Correggio, e dove esso era Archidiacono, fu dalli detti Signori ritenuto; e ridottosi secondo l’uso suo a una solitudine in luogo

detto

  1. Nelle famil. Ep. 57.