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SONETTO LXXXV.
Ov’Amor vidi già fermar le piante,
Ver me volgendo quelle luci sante
4Che fanno intorno a sè l’aere sereno:
Prima poria per tempo venir meno
Un’immagine salda di diamante;
Che l’atto dolce non mi stia davante
8Del qual’ ho la memoria e ’l cor sì pieno:
Nè tante volte ti vedrò giammai,
Ch’i’ non m’inchini a ricercar dell’orme
11Che ’l bel pie’ fece in quel cortese giro.
Ma se ’n cor valoroso Amor non dorme;
Prega, Sennuccio mio, quando ’l vedrai,
14Di qualche lagrimetta, o d’un sospiro.
SONETTO LXXXVI.
Che fra la notte, e ’l dì son più di mille;
Torno dov’arder vidi le faville
4Che ’l foco del mio cor fanno immortale.
Ivi m’acqueto: e son condotto a tale,
Ch’a nona, a vespro, a l’alba, ed alle squille
Le trovo nel pensier tanto tranquille,
8Che di null’altro mi rimembra, o cale.
L’aura soave che dal chiaro viso
Move col suon delle parole accorte,
11Per far dolce sereno ovunque spira;
Quasi un spirto gentil di paradiso,
Sempre in quell’aere par che mi conforte;
14Sì che ’l cor lasso altrove non respira.