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SONETTO LXXV.
E della lunga guerra de’ sospiri;
Ch’i’ aggio in odio la speme, e i desiri,
4Ed ogni laccio onde’l mio cor è avvinto.
Ma ’l bel viso leggiadro che dipinto
Porto nel petto, e veggio ove ch’io miri;
Mi sforza: onde ne’ primi empj martìri
8Pur son contra mia voglia risospinto.
Allor' errai quando l’antica strada
Di libertà mi fu precisa, e tolta,
11Chè mal si segue ciò ch’agli occhi aggrada.
Allor corse al suo mal libera, e sciolta:
Or' a posta d’altrui conven che vada
14L’anima, che peccò sol' una volta.
SONETTO LXXVI.
Partendoti da me mostrato, quale
Era ’l mio stato, quando 'l primo strale
4Fece la piaga ond’io non guarrò mai!
Gli occhi invaghiro allor sì de’ lor guai,
Che ’l fren della ragione ivi non vale;
Perc’hanno a schifo ogni opera mortale.
8Lasso, così da prima gli avezzai.
Nè mi lece ascoltar chi non ragiona
Della mia morte: e solo del suo nome
11Vo empiendo l’aere, che sì dolce suona.
Amor' in altra parte non mi sprona;
Nè i pie’ sanno altra via, nè le man, come
14Lodar si possa in carte altra persona.