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P A R T E. 77

SONETTO LXXIII.


Q
Uando giugne per gli occhi al cor profondo

     L’immagin donna, ogni altra indi si parte;
     E le vertù che l’anima comparte,
     4Lascian le membra quasi immobil pondo:
E del primo miracolo il secondo
     Nasce talor: che la scacciata parte,
     Da sè stessa fuggendo arriva in parte
     8Che fa vendetta, e ’l suo esilio giocondo.
Quinci in duo volti un color morto appare:
     Perchè ’l vigor, che vivi gli mostrava,
     11Da nessun lato è più là dove stava.
E di questo in quel dì mi ricordava
     Ch’i’ vidi duo amanti trasformare,
     14E far, qual'io mi soglio in vista fare.



SONETTO LXXIV.


C
Osì potess’io ben chiudere in versi

     I miei pensier, come nel cor li chiudo:
     Ch’animo al mondo non fu mai sì crudo,
     4Ch’i’ non facessi per pietà dolersi.
Ma voi, occhi beati, ond’io soffersi
     Quel colpo ove non valse elmo, nè scudo;
     Di for', e dentro mi vedete ignudo;
     8Benchè ’n lamenti il duol non si riversi:
Poi che vostro vedere in me risplende,
     Come raggio di Sol traluce in vetro.
     11Basti dunque il desio, senza ch’io dica.
Lasso, non a Maria, non nocque a Pietro
     La fede, ch’a me sol tanto è nemica:
     14E so, ch’altri che voi nessun m’intende.