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SONETTO LXVII.


P
Oi che mia speme è lunga a venir troppo,

     E della vita il trappassar sì corto;
     Vorreimi a miglior tempo esser accorto,
     4Per fuggir dietro più che di galoppo:
E fuggo ancor così debile, e zoppo
     Dall’un de’ lati, ove ’l desio m’ha storto;
     Securo omai: ma pur nel viso porto
     8Segni ch’io presi all’amoroso intoppo.
Ond’io consiglio voi che siete in via,
     Volgete i passi: e voi ch’Amore avampa,
     11Non v’indugiate su l’estremo ardore:
Che perch’io viva; di mille un non scampa
     Era ben forte la nemica mia;
     14E lei vid’io ferita in mezzo ’l core.



SONETTO LXVIII.


F
Uggendo la prigione ove Amor m’ebbe

     Molt’anni a far di me quel ch’a lui parve,
     Donne mie, lungo fora a ricontarve,
     4Quanto la nova libertà m’increbbe.
Diceami 'l cor, che per sè non saprebbe
     Viver un giorno: e poi tra via m’apparve
     Quel traditor' in sì mentite larve,
     8Che più saggio di me inganato avrebbe:
Onde più volte sospirando indietro,
     Dissi, Ohimè, il giogo, e le catene, e i ceppi
     11Eran più dolci che l’andare sciolto.
Misero me! che tardo il mio mal seppi:
     E con quanta fatica oggi mi spetro
     14De l’error' ov’io stesso m’era involto!