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P A R T E. 73

SONETTO LXV.


I
O avrò sempre in odio la fenestra

     Onde Amor m’aventò già mille strali,
     Perch’alquanti di lor non fur mortali;
     4Ch’è bel morir mentre la vita è destra.
Ma ’l sovrastar ne la prigion terrestra
     Cagion m’è, lasso, d’infiniti mali:
     E più mi duol, che fien meco immortali;
     8Poi che l’alma dal cor non si scapestra.
Misera! che devrebbe esser accorta
     Per lunga esperienzia omai, che ’l tempo
     11Non è chi ’ndietro volga, o chi l’affreni.
Più volte l’ho con tai parole scorta;
     Vattene, trista; chè non va per tempo
     14Chi dopo lassa i suoi dì più sereni.



SONETTO LXVI.


S
Í tosto come avvien che l’arco scocchi,

     Buon sagittario, di lontan discerne,
     Qual colpo è da sprezzare, e qual d’averne
     4Fede ch’al destinato segno tocchi;
Similemente il colpo de’ vostr’occhi,
     Donna, sentiste a le mie parti interne
     Dritto passare: onde conven, ch’eterne
     8Lagrime per la piaga il cor trabocchi.
E certo son, che voi diceste allora;
     Misero amante! a che vaghezza il mena?
     11Ecco lo strale ond'Amor vol, ch'e' mora.
Ora veggendo, come ’l duol m’affrena;
     Quel che mi fanno i miei nemici ancora,
     14Non è per morte, ma per più mia pena.