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P A R T E. | 69 |
CANZONE XXI.
Su per l’onde fallaci, e per gli scogli,
Scevro da morte con un picciol legno;
Non può molto lontan' esser dal fine:
5Però sarebbe da ritrarsi in porto,
Mentre al governo ancor crede la vela.
L’aura soave a cui governo, e vela
Commisi entrando a l’amorosa vita,
E sperando venire a miglior porto;
10Poi mi condusse in più di mille scogli:
E le cagion del mio doglioso fine
Non pur d’intorno avea, ma dentro al legno.
Chiuso gran tempo in questo cieco legno,
Errai, senza levar occhio alla vela,
15Ch’anzi al mio dì mi trasportava al fine:
Poi piacque a lui che mi produsse in vita,
Chiamarmi tanto indietro dalli scogli,
Ch’almen da lunge m’apparisse il porto.
Come lume di notte in alcun porto
20Vide mai d’alto mar nave, nè legno,
Se non gliel tolse o tempestate, o scogli;
Così di su dalla gomfiata vela
Vid’io le ’nsegne di quell’altra vita:
Ed allor sospirai verso ’l mio fine.
25Non perch’io sia securo ancor del fine:
Che volendo col giorno esser a porto,
È gran viaggio in così poca vita:
Poi temo, che mi veggio in fragil legno;
E più che non vorrei, piena la vela
30Del vento che mi pinse in questi scogli.
S’io esca vivo de’ dubbiosi scogli,
Ed arrive il mio esilio ad un bel fine;
Ch’i’ sarei vago di voltar la vela,
E l'