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SONETTO LVIII.
Ch’a mio nome gli pose in man lo stile;
S’avesse dato a l’opera gentile
4Con la figura voce, ed intelletto;
Di sospir’ molti mi sgombrava il petto:
Che ciò ch’altri han più caro, a me fan vile:
Però che ’n vista ella si mostra umìle,
8Promettendomi pace ne l’aspetto.
Ma poi ch’i’ vengo a ragionar con lei;
Benignamente assai par che m’ascolte;
11Se risponder savesse a’ detti miei.
Pigmalion, quanto lodar ti dei
Dell’immagine tua, se mille volte
14N’avesti quel ch’i’ sol una vorrei.<
SONETTO LIX.
Del quartodecim'anno ch’io sospiro,
Più non mi può scampar l’aura, nè ’l rezzo;
4Sì crescer sento ’l mio ardente desiro.
Amor, con cui pensier mai non han mezzo,
Sotto ’l cui giogo giammai non respiro;
Tal mi governa, ch’i’ non son già mezzo,
8Per gli occhi, ch’al mio mal sì spesso giro.
Così mancando vo di giorno in giorno,
Sì chiusamente, ch’i’ sol me n’accorgo,
11E quella che guardando il cor mi strugge.
Appena infin a qui l’anima scorgo;
Nè so quanto fia meco il suo soggiorno:
14Che la morte s’appressa, e ’l viver fugge.