Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
P A R T E. | 67 |
SONETTO LVI.
Mi ricondusse a la prigione antica;
E die’ le chiavi a quella mia nemica
4Ch’ancor me di me stesso tene in bando.
Non me n’avidi, lasso, se non quando
Fui in lor forza: ed or con gran fatica
(Chi ’l crederà, perchè giurando il dica?)
8In libertà ritorno sospirando.
E come vero prigioniero afflitto,
Delle catene mie gran parte porto:
11E ’l cor ne gli occhi, e ne la fronte ho scritto.
Quando sarai del mio colore accorto,
Dirai: S’i’ guardo, e giudico ben dritto;
14Questi avea poco andare ad esser morto.
SONETTO LVII.
Con gli altri ch’ebber fama di quell’arte,
Mill’anni, non vedrian la minor parte
4Della beltà che m’ave il cor conquiso.
Ma certo il mio Simon fu in paradiso,
Onde questa gentil donna si parte:
Ivi la vide, e la ritrasse in carte,
8Per far fede qua giù del suo bel viso.
L’opra fu ben di quelle che nel cielo
Si ponno imaginar, non qui tra noi,
11Ove le membra fanno a l’alma velo.
Cortesia fè: nè la potea far poi
Che fu disceso a provar caldo, e gielo;
14E del mortal sentiron gli occhi suoi.