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SONETTO LIV.
I miei pensier’ in voi stanchi non sono;
E come vita ancor non abbandono,
4Per fuggir de’ sospir sì gravi some;
E come a dir del viso, e de le chiome,
E de’ begli occhi, ond’io sempre ragiono,
Non è mancata omai la lingua, e ’l suono
8Dì, e notte chiamando il vostro nome;
E ch'e pie’ miei non son fiaccati, e lassi
A seguir l’orme vostre in ogni parte,
11Perdendo inutilmente tanti passi;
E onde vien l’inchiostro, onde le carte
Ch’i’ vo empiendo di voi: se ’n ciò fallassi;
14Colpa d’amor, non già difetto d’arte.
SONETTO LV.
Ch’e medesmi porian saldar la piaga;
E non già vertù d’erbe, o d’arte maga,
4O di pietra dal mar nostro divisa;
M’hanno la via sì d’altro amor precisa,
Ch’un sol dolce penser l’anima appaga:
E se la lingua di seguirlo è vaga;
8La scorta può, non ella, esser derisa.
Questi son que’ begli occhi che l’imprese
Del mio Signor vittoriose fanno
11In ogni parte, e più sovra ’l mio fianco:
Questi son que’ begli occhi che mi stanno
Sempre nel cor colle faville accese,
14Per ch’io di lor parlando non mi stanco.