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SONETTO LIII.
Amor, contra di te giammai non valse,
Tanti lacciuol’, tante impromesse false,
4Tanto provato avea ’l tuo fero artiglio.
Ma novamente (ond’io mi meraviglio)
Dirol come persona a cui ne calse;
E che ’l notai là sopra l’acque salse,
8Tra la riva Toscana, e l’Elba, e'l Giglio,
I’ fuggia le tue mani, e per cammino
Agitandom’i venti, e ’l cielo, e l’onde
11M’andava sconosciuto, e pellegrino;
Quando ecco i tuoi ministri (i’ non so donde:)
Per darmi a diveder, ch’al suo destino
14Mal chi contrasta, e mal chi si nasconde.
CANZONE XVII.
La speme, ch’è tradita omai più volte:
Che se non è chi con pietà m’ascolte;
Perchè sparger al ciel sì spessi preghi?
5Ma s’egli avvien, ch’ancor non mi si nieghi
Finir anzi ’l mio fine
Queste voci meschine,
Non gravi al mio Signor, perch’io 'l ripreghi
Di dir libero un dì tra l’erba, e i fiori:
10Drez & raison es que eu ciant emdemori.
Ragion' è ben ch’alcuna volta io canti:
Però ch’ho sospirato sì gran tempo;
Che mai non incomincio assai per tempo
Per adequar col riso i dolor tanti.
15E s’io potessi far ch’agli occhi santi
Porgesse alcun diletto
Qual-