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CANZONE XIII.


Q
Uel foco ch’io pensai che fosse spento

     Dal freddo tempo, e da l’età men fresca,
     Fiamma, e martir nell’anima rinfresca.
Non fur mai tutte spente, a quel ch’i’ veggio;
     5Ma ricoperte alquanto le faville:
     e temo, no ’l secondo error sia peggio.
     per lagrime ch’io spargo a mille a mille,
     conven che ’l duol per gli occhi si distille
     dal cor, ch’ha seco le faville, e l’esca,
     10non pur qual fu, ma pare a me che cresca.
Qual foco non avrian già spento, e morto
     L’onde che gli occhi tristi versan sempre?
     Amor (avegna mi sia tardi accorto)
     Vuol che tra duo contrari mi distempre:
     15E tende lacci in sì diverse tempre,
     Che quand’ho più speranza che ’l cor n’esca,
     Allor più nel bel viso mi rinvesca.



SONETTO XLIII.


S
E col cieco desir che ’l cor distrugge,

     Contando l’ore non m’ingann' io stesso;
     Ora mentre ch’io parlo, il tempo fugge
     4Ch’a me fu inseme: ed a mercè promesso.
Qual ombra è sì crudel che ’l seme adugge
     Ch’al desiato frutto era sì presso?
     Et dentro dal mio ovil qual fera rugge?
     8Tra la spiga, e la man qual muro è messo?
Lasso, nol so: ma sì conosco io bene,
     Che per far più dogliosa la mia vita
     11Amor m’addusse in sì gioiosa spene:
Ed or di quel ch’io ho letto mi sovvene:
     Che ’nanzi al dì de l’ultima partita
     14Uom beato chiamar non si convene.