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SONETTO XXX.
Nè mare, ov’ogni rivo si disgombra;
Nè di muro, o di poggio, o di ramo ombra;
4Nè nebbia che ’l ciel copra, e ’l mondo bagni;
Nè altro impedimento, ond’io mi lagni;
Qualunque più l’umana vista ingombra;
Quanto d’un vel, che due begli occhi adombra;
8E par che dica, Or ti consuma, e piagni.
E quel lor’ inchinar, ch’ogni mia gioia
Spegne, o per umiltate o per orgoglio;
11Cagion sarà che’nnanzi tempo i’ moia;
E d’una bianca mano ancho mi doglio;
Ch’è stata sempre accorta a farmi noia,
14E contra gli occhi miei s’è fatta scoglio.
SONETTO XXXI.
Ne’ quali Amore e la mia morte alberga;
Ch’i’ fuggo lor, come fanciul la verga;
4E gran tempo è ch’io presi il primier salto.
Da ora inanzi faticoso, od alto
Loco non fia dove ’l voler non s’erga;
Per non scontrar chi i miei sensi disperga,
8Lassando, come suol, me freddo smalto.
Dunque s’a veder voi tardo mi volsi,
Per non ravvicinarmi a chi mi strugge;
11Fallir forse non fu di scusa indegno.
Più dico: che ’l tornare a quel ch’uom fugge:
E ’l cor che di paura tanta sciolsi:
14Fur de la fede mia non leggier pegno.