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PARTE. | 33 |
E s’Amor se ne va per lungo obblio;
Chi mi condusse all'esca
55Onde ’l mio dolor cresca?
E perchè pria tacendo non m’impetro?
Certo cristallo, o vetro
Non mostrò mai di fore
Nascosto altro colore;
60Che l’alma sconsolata assai non mostri?
Più chiari i pensier nostri,
E la fera dolcezza ch’è nel core;
Per li occhi, che di sempre pianger vaghi
Cercan dì, e notte pur chi glien’appaghi.
65Novo piacer; che negli umani ingegni
Spesse volte si trova;
D’amar, qual cosa nova
Più folta schiera di sospiri accoglia!
Et io son' un di quei che ’l pianger giova:
70E par ben, ch’io m’ingegni
Che di lagrime pregni
Sien gli occhi miei, siccome ’l cor di doglia:
E perchè a ciò m’invoglia
Ragionar de’ begli occhi;
75(Nè cosa è che mi tocchi,
O sentir mi si faccia così addentro)
Corro spesso, e rientro
Colà donde più largo il duol trabocchi,
E sien col cor punite ambe le luci,
80Ch’alla strada d’Amor mi furon duci.
Le treccie d’or, che devrien fare il Sole
D’invidia molta ir pieno;
E ’l bel guardo sereno;
Ove i raggi d’Amor sì caldi sono,
85Che mi fanno anzi tempo venir meno;
E l’accorte parole
Rade nel mondo, o sole,
Che mi fer già di sè cortese dono,