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PARTE. 31

SONETTO XXIX.


S
’Io credesse per morte essere scarco

     Del pensier’ amoroso che m’atterra;
     Colle mie mani avrei già posto in terra
     4Queste membra noiose, e quello incarco:
Ma perch’io temo, che sarebbe un varco
     Di pianto in pianto, e d’una in altra guerra;
     Di qua dal passo ancor che mi si serra,
     8Mezzo rimango lasso, e mezzo il varco.
Tempo ben fora omai d’avere spinto
     L’ultimo stral la dispietata corda
     11Ne l’altrui sangue già bagnato, e tinto:
Ed io ne prego Amore, e quella sorda
     Che mi lassò de’ suoi color’ dipinto;
     14E di chiamarmi a sè non le ricorda.


CANZONE VIII.


S
I’ è debile il filo a cui s’attene

     La gravosa mia vita,
     Che, s’altri non l’aita,
     Ella fia tosto di suo corso a riva:
     5Però che dopo l’empia dipartita
     Che dal dolce mio bene
     Feci, sol’una spene
     È stato infin’ a qui cagion ch’io viva,
     Dicendo, Perchè priva
     10Sia de l’amata vista,
     Mantienti, anima trista:
     Che sai, s’a miglior tempo ancho ritorni,
     Es a più lieti giorni?
     O se ’l perduto ben mai si racquista?
     15Questa speranza mi sostenne un tempo:
     Or vien mancando, e troppo in lei m’attempo.