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SONETTO XXV.
Che l’umana miseria suol far breve,
Più veggio ’l tempo andar veloce, e leve,
4E ’l mio di lui sperar fallace, e scemo.
I’ dico a’ miei pensier, Non molto andremo
D’amor parlando omai: chè ’l duro, e greve
Terreno incarco, come fresca neve
8Si va struggendo: onde noi pace avremo:
Perchè con lui cadrà quella speranza
Che ne fè vaneggiar sì lungamente;
11E ’l riso e ’l pianto, e la paura et l’ira;
Sì vedrem chiaro poi, come sovente
Per le cose dubbiose altri s’avanza:
14E come spesso indarno si sospira.
SONETTO XXVI.
Per l’oriente, e l’altra che Giunone
Suol far gelosa nel Settentrione,
4Rotava i raggi suoi lucente, e bella;
Levata era a filar la vecchiarella,
Discinta e scalza, e desto avea ’l carbone:
E gli amanti pungea quella stagione
8Che per usanza a lagrimar gli appella;
Quando mia speme già condotta al verde
Giunse nel cor, non per l’usata via;
11Che ’l sonno tenea chiusa, e ’l dolor molle;
Quanto cangiata, oimè, da quel di pria!
E parea dir, Perchè tuo valor perde?
14Veder quest’occhi ancor non ti si tolle.