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SONETTO XX.


S
E l’onorata fronde che prescrive

     L’ira del ciel, quando ’l gran Giove tona,
     Non m’avesse disdetta la corona
     4Che suole ornar chi poetando scrive;
I’era amico a queste vostre Dive,
     Le qua’ vilmente il secolo abbandona:
     Ma quella ingiuria già lunge mi sprona
     8Dall’inventrice delle prime olive:
Che non bolle la polver d’Etiopia
     Sotto ’l più ardente Sol, com’io sfavillo,
     11Perdendo tanto amata cosa propia.
Cercate dunque fonte più tranquillo;
     Che ’l mio d’ogni licor sostene inopia,
     14Salvo di quel che lagrimando stillo.



SONETTO XXI.


A
Mor piangeva, ed io con lui talvolta;

     Dal qual miei passi non fur mai lontani:
     Mirando, per gli effetti acerbi, e strani,
     4L’anima vostra de’ suoi nodi sciolta.
Or ch’al dritto cammin l’ha Dio rivolta;
     Col cor levando al cielo ambe le mani
     Ringrazio lui, ch’i giusti preghi humani
     8Benignamente, sua mercede, ascolta.
E se tornando a l’amorosa vita,
     Per farvi al bel desio volger le spalle,
     11Trovaste per la via fossati o poggi;
Fu per mostrar quanto è spinoso calle,
     E quanto alpestra, e dura la salita
     14Onde al vero valor conven ch’uom poggi.