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     100Non son mio, no. S’io moro, il danno è vostro.
Ben mi credea dinanzi agli occhi suoi
     D’indegno far così di mercè degno:
     E questa spene m’avea fatto ardito.
     Ma talor’ umiltà spegne disdegno;
     105Talor l’enfiamma: e ciò sepp’io da poi
     Lunga stagion di tenebre vestito:
     Ch’a quei preghi il mio lume era sparito.
     Ed io non ritrovando intorno intorno
     Ombra di lei, nè pur de’ suoi piedi orma,
     110Com’uom che tra via dorma,
     Gittaimi stanco sovra l’erba un giorno.
     Ivi accusando il fugitivo raggio
     A le lagrime triste allargai ’l freno,
     E lasciaile cader come a lor parve:
     115Nè già mai neve sott’al Sol disparve,
     Com’io sentì me tutto venir meno,
     E farmi una fontana appiè d’un faggio.
     Gran tempo umido tenni quel vïaggio.
     Chi udì mai d’uom vero nascer fonte?
     120E parlo cose manifeste et conte.
L’alma ch’è sol da Dio fatta gentile;
     (Che già d’altrui non pò venir tal grazia)
     Simile al suo fattor stato ritene:
     Però di perdonar mai non è sazia
     125A chi col core, e col sembiante umile
     Dopo quantunque offese a mercè vene:
     Et se contra suo stile ella sostene
     D’esser molto pregata, in lui si specchia;
     E fal perchè ’l peccar più si pavente:
     130Che non ben si ripente
     De l’un mal, chi de l’altro s’apparecchia.
     Poi che Madonna da pietà commossa
     Degnò mirarmi, e riconobbe, e vide
     Gir di pari la pena col peccato;
     135Benigna mi ridusse al primo stato.

Ma