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adjecta. | 533 |
II.
Un povero sonetto impallidito,
fior dell’anima mia morto e seccato,
che tra le foglie sue reca smarrito
4come un lontano odor del mio passato,
come un ricordo vago e scolorito,
un’eco lieve del tempo beato,
un rimpianto profondo ed infinito
8di tutto quel che in giovinezza ho amato.
Ed ecco che il sonetto esce discreto
da la prigion dove dormiva ignoto
11e rivede tremando il mondo lieto.
Va dunque, o mesto fior da me cresciuto,
porta a chi m’ama del mio core il voto,
14ed a chi m’odia porta il mio saluto.