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204 | le poesie |
Sorgon bruni cipressi, ond’è ricinto
Del pallido Eremita il sacro albergo,
Ed un ramo ne svelse, e intorno al capo
Sel girò, se l’avvinse; indi si fece
Sedil d’un sasso, di rincontro a balze
Di grato orror dipinte; e poi che alquanto
Con la mente vagò da sè lontano,
Trasse lungo dal core imo un sospiro,
E tai sensi innalzar l’udì la Notte,
Che già in fosco tingea la terra, e il cielo.
I.
Queste del gufo, il qual duolsi alla Luna,
Non son le voci flebili, allungate,
Che nel silenzio della notte bruna
Ad un oppresso cor giungon sì grate?
O pensieroso augel, di ria fortuna
Portator ti accusò la vecchia etate:
Ma udito, se ver fosse il detto antico,
T’avrei la notte, in ch’io perdea l’Amico.