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le prose | 85 |
so s’io lo chiami o Socrate o Seneca campagnuolo, ho io sotto un tetto medesimo. Direte voi ancora, abitanti delle città, che non passa differenza niuna tra un contadino, e il tronco d’un albero?
Ma tu, voi soggiungerete, non vorrai comunicare i versi, che vai facendo, a cotesti tuoi villani, benchè tanto da te pregiati, e converrà che ti contenti di recitarli alle selve. Ciò sarebbe un gran male per que’ poeti, che non possono aver composto un sonetto, senza correr tosto a ficcarlo nelle orecchie altrui; non lascian mai di far sentire la loro voce nelle radunanze accademiche; sono veri incomodi del secolo. Io, grazie al Cielo, non disturbo il secolo per tal cagione, e m’accusi d’orgoglio chi vuole, e dica ch’io serbo le cose mie per gli orecchi di Giove.
Non ego nobilium scriptorum auditor et ultor
Grammaticas ambire tribus, et pulpita dignor: