47Peneo vien dopo, che l’amena valle
Abbandonò di Tempe, a cui solenne
Dan le selve imminenti ombra a le spalle,
E c’ha dai sacri balli onor perenne.
Platani ombrosi e alteri faggi dalle
Radici evulsi egli a recar qui venne;
Nè il cipresso e l’allor ch’erge la fronte
Manca, nè quei che piange arso Fetonte.
48E perchè l’atrio abbia di fronde un velo,
Folti dintorno alla magion li assetta.
Vien poi Prometeo, che dell’arduo zelo
Il fio pagò su la caucasea vetta,
Quando sospeso all’alte balze anelo
Sentì delle catene aspre la stretta;
Passò stagion, ma della pena acerba
Scemati alquanto i segni antichi ei serba.
49Il padre degli Dei dal ciel poi giunge
Con la consorte santa e la felice
Prole, te sol, Febo, lasciando lunge
E l’unica dell’Idro abitatrice:
Però che desiderio alcun non punge
Nè te, nè lei cui fu Latona altrice,
Di venir su la terra, e l’imeneo
Concelebrar di Teti e di Pelèo.