L’orba casa paterna, e teco insieme 120Le gioje del mio cor tutte perîro,
Che alimentavi del tuo vivo amore.
Nè fra’ patrj sepolcri, alle cognate
Ceneri accanto, l’ossa tue composte
Dormono, ma lontan tanto, in estrana 125Terra, in lido remoto, in tra la polve
Di tante stragi oscena Ilio le serra.
Ivi accorrean, siccome è grido, in folla
E d’ogni parte i giovanetti achivi,
E deserto faceano il santo foco 130Del domestico lare, onde nel cheto
Letto più non gioisse ozj sereni
Paride in braccio alla rapita ganza.
Tolto allora ti fu, Laodamia bella,
Il dolce sposo, a te più che la vita 135Più che l’anima caro; e allor dal sommo
Vertice dell’amor, da un turbinoso
Flutto assorbita, in sì profondo abisso
Precipitasti, che non fu più cupo
Il baratro che aprì, se vero è il mito, 140Al cillenio Penèo la mal supposta
Prole d’Anfitrion, quando all’impero
Del feroce tiranno ubbidiente,
A prosciugar la putrida palude,
I reconditi visceri diruppe 145Della montagna, e di Stinfale i mostri
Tutti colpì dell’infallibil dardo,