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Trad. da Mario Rapisardi 117

     L’orba casa paterna, e teco insieme
     120Le gioje del mio cor tutte perîro,
     Che alimentavi del tuo vivo amore.
     Nè fra’ patrj sepolcri, alle cognate
     Ceneri accanto, l’ossa tue composte
     Dormono, ma lontan tanto, in estrana
     125Terra, in lido remoto, in tra la polve
     Di tante stragi oscena Ilio le serra.
     Ivi accorrean, siccome è grido, in folla
     E d’ogni parte i giovanetti achivi,
     E deserto faceano il santo foco
     130Del domestico lare, onde nel cheto
     Letto più non gioisse ozj sereni
     Paride in braccio alla rapita ganza.
     Tolto allora ti fu, Laodamia bella,
     Il dolce sposo, a te più che la vita
     135Più che l’anima caro; e allor dal sommo
     Vertice dell’amor, da un turbinoso
     Flutto assorbita, in sì profondo abisso
     Precipitasti, che non fu più cupo
     Il baratro che aprì, se vero è il mito,
     140Al cillenio Penèo la mal supposta
     Prole d’Anfitrion, quando all’impero
     Del feroce tiranno ubbidiente,
     A prosciugar la putrida palude,
     I reconditi visceri diruppe
     145Della montagna, e di Stinfale i mostri
     Tutti colpì dell’infallibil dardo,