35Ch’al vergognoso starmene a Verona,
Mentre costì nel mio deserto letto
Scalda le membra ogni gentil garzone,
Credi, Manlio, non già d’onta, ma degno
Di pietade son io. Se dunque i doni, 40Che la sventura mi rapì, non t’offro,
Perdonami, non posso. In compagnia
D’assai copia di libri io qui non vivo;
Io faccio vita in Roma: ivi il mio tetto,
Ivi le sede, ivi si svolge il filo 45Degli anni miei; di tanti scrigni un solo
Mi segue; eccoti il vero: e tu non darmi
Taccia d’alma scortese e di bugiardo,
Se al tuo doppio desio non sodisfaccio;
Più ti darei, se facoltà ne avessi. 50Tacer non posso, o Dee, quanto e in che modo
M’abbia Manlio giovato, onde non sia
Che in cieca notte alle obliose genti
Covra il tempo fugace un tanto affetto.
A voi, Muse, il dirò; voi lo ridite 55Ai cento, ai mille, e fate sì che questa
Pagina a’ più lontani anni il ripeta.
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
Dell’ estinto ognor più cresca la fama,
Nè mai di Manlio al derelitto nome 60La tenue tela ordisca intorno Aragne.
Voi ben sapete, o Dee, quanto travaglio
La duplice Amatusia al cor m’inflisse,