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trad. da Mario Rapisardi |
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E per le immense regioni ombrose
Dell’ètere con sè toltomi a volo,
81Nel casto sen di Venere mi pose.
Chè Arsinoe Zefiritide dal suolo
Cirenaico il mandava, ella ch’è grata
84Alle sponde canopie, acciò che solo
Tra le faci diverse, ond’è gemmata
L’aria, non rimanesse il serto d’oro,
87Di cui fu già Ariana incoronata;
Ma fosse dato in tra l’etereo coro
Sorger degli astri e a noi, devote spoglie
90Del biondo capo, e scintillar con loro.
Così la Dea m’apre del ciel le soglie,
E me, ch’ero umidetta anco di pianto,
93Nel tempio degli Dei nov’astro accoglie.
Presso a Calisto licaonia intanto
Piego all’occaso, ed al Leon gagliardo
96E alla vergine Astrea passo daccanto;
E quasi duce innanzi movo al tardo
Boote, che nell’alto oceano appena
99Ultimo immerge il luminoso sguardo.