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pian piano in loro così mala qualità per le membra, che svegliandosi, chi con torpedine e rigori per la vita e chi con dolori intensissimi nella testa e con altri accidenti, tutti caddero in gravissime infermità, per le quali uno de' compagni in pochi giorni se ne morì, l'altro perdé l'udito e non visse gran tempo, et il Sig.r Galileo ne cavò la sopradetta indisposizione, della quale mai poté liberarsi.

Non provò maggior sollievo nelle passioni dell'animo, né miglior preservativo della sanità, che nel godere dell'aria aperta; e perciò, dal suo ritorno di Padova, abitò quasi sempre lontano dalli strepiti della città di Firenze, per le ville d'amici o in alcune ville vicine di Bellosguardo o d'Arcetri: dove con tanto maggior satisfazione ei dimorava, quanto che gli pareva che la città in certo modo fosse la prigione delli ingegni speculativi, e che la libertà della campagna fosse il libro della natura, sempre aperto a chi con gl'occhi dell'intelletto gustava di leggerlo e di studiarlo; dicendo che i caratteri con che era scritto erano le proposizioni, figure e conclusioni geometriche, per il cui solo mezzo potevasi penetrare alcuno delli infiniti misterii dell'istessa natura. Era perciò provvisto di pochissimi libri, ma questi de' migliori e di prima classe: lodava ben sì il vedere quanto in filosofia e geometria era stato scritto di buono, per dilucidare e svegliar la mente a simili e più alte speculazioni; ma ben diceva che le principali porte per introdursi nel ricchissimo erario della natural filosofia erano l'osservazioni e l'esperienze, che, per mezzo delle chiavi de' sensi, da i più nobili e curiosi intelletti si potevano aprire. Quantunque le piacesse la quiete e la solitudine della villa, amò però sempre d'avere il commercio di virtuosi e d'amici, da' quali era giornalmente visitato e con delizie e regali sempre onorato. Con questi piacevagli trovarsi spesso a conviti, e, con tutto fosse parchissimo e moderato, volentieri si rallegrava; e particolarmente premeva nell'esquisitezza e varietà de' vini d'ogni paese, de' quali era tenuto continuamente provvisto dall'istessa cantina del Ser.mo Gran Duca e d'altrove: e tale era il diletto ch'egli aveva nella delicatezza de' vini e dell'uve, e nel modo di custodire le viti, ch'egli stesso di propria mano le potava e legava nelli orti delle sue ville, con osservazione, diligenza et industria più che ordinaria; et in ogni tempo si dilettò grandemente dell'agricoltura, che gli serviva insieme di passatempo e di occasione di filosofare intorno al nutrirsi e al vegetar delle piante, sopra la virtù prolifica de' semi, e sopra l'altre ammirabili operazioni del Divino Artefice.

Ebbe assai più in odio l'avarizia che la prodigalità. Non rispiarmò a spesa alcuna in far varie prove et osservazioni per conseguir notizie di nuove et ammirabili conseguenze. Spese liberalmente in sollevar i depressi, in ricevere et