Pagina:Le opere di Galileo Galilei XIX.djvu/606


iv. racconto istorico di vincenzo viviani 603

schiave del parere e de gl’asserti d’un solo, non potè mai, secondo ’l consueto degl’altri, darsele in preda così alla cieca, come che, essendo egli d’ingegno libero, non gli pareva di dover così facilmente assentire a’ soli detti et opinioni delli antichi o moderni scrittori, mentre potevasi col discorso e con sensate esperienze appagar sè medesimo. E perciò nelle dispute di conclusioni naturali fu sempre contrario1 alli più acerrimi difensori d’ogni detto Aristotelico, acquistandosi nome tra quelli di spirito della contradizione, et in premio delle scoperte verità provocandosi l’odio loro; non potendo soffrire che da un giovanetto studente, e che per ancora, secondo un lor detto volgare, non avea fatto il corso delle scienze, quelle dottrine da lor imbevute, si può dir, con il latte gl’avesser ad esser con nuovi modi e con tanta evidenza rigettate e convinte: averando in ciò quel detto di Orazio:

Stimano infamia il confessar da vecchii
Per falso quel che giovini apprendero.


Continuò di così per tre o quattr’anni, ne’ soliti mesi di studio in Pisa, la medicina e filosofia, secondo l’usato stile de’ lettori; ma però in tanto da sè stesso diligentemente vedeva l’opere di Aristotele, di Platone e delli altri filosofi antichi, studiando di ben possedere i lor dogmi et opinioni per esaminarle e satisfare principalmente al proprio intelletto.

In questo mentre con la sagacità del suo ingegno inventò quella semplicissima e regolata misura del tempo per mezzo del pendulo, non prima da alcun altro avvertita, pigliando occasione d’osservarla dal moto d’una lampada, mentre era un giorno nel Duomo di Pisa; e facendone esperienze esattissime, si accertò dell’egualità delle sue vibrazioni, e per allora sovvennegli di adattarla all’uso della medicina per la misura della frequenza de’ polsi, con stupore e diletto de’ medici di que’ tempi e come pure oggi si pratica volgarmente: della quale invenzione si valse poi in varie esperienze e misure di tempi e moti, e fu il primo che l’applicasse alle osservazioni celesti, con incredibile acquisto nell’astronomia e geografia.

Di qui s’accorse che gl’effetti della natura, quantunque apparischin minimi et in niun conto osservabili, non devon mai dal filosofo disprezzarsi, ma tutti egualmente e grandemente stimarsi; essendo perciò solito dire che la natura operava molto col poco, e che le sue operazioni eran tutte in pari grado maravigliose.

Tra tanto non aveva mai rivolto l’occhio alle matematiche, come quelle che, per esser quasi affatto smarrite, principalmente in Italia (benchè dall’opera e diligenza del Comandino, e del Maurolico etc.2, in gran parte restaurate), per ancora non avendo pigliato vigore, erano più tosto universalmente in disprezzo; e non sapendo comprendere quel che mai in filosofia si potesse dedurre da figure di

  1. fu spesse volte contrario, A, S. Così fu trascritto in B, dove poi a spesse volte fu sostituito sempre.
  2. e del Maurolico etc. è aggiunto in margine, e soltanto in B.