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scesa di qualche migliara di braccia, in una palla di ferro o di piombo; e questa terminata ed ultima velocità si può dire esser la massima che naturalmente può ottener tal grave per aria: la qual velocità io reputo assai minor di quella che alla medesima palla viene impressa dalla polvere accesa. Del che una assai acconcia esperienza ci può render cauti. Sparisi da un’altezza di cento o più braccia un archibuso con palla di piombo all’in giù perpendicolarmente sopra un pavimento di pietra, e col medesimo si tiri contro una simil pietra in distanza d’un braccio o 2, e veggasi poi qual delle 2 palle si trovi esser più ammaccata: imperò che, se la venuta da alto si troverà meno schiacciata dell’altra, sarà segno che l’aria gli avrà impedita e diminuita la velocità conferitagli dal fuoco nel principio del moto, e che, per conseguenza, una tanta velocità non gli permetterebbe l’aria che ella guadagnasse già mai venendo da quanto si voglia subblime altezza; ché quando la velocità impressagli dal fuoco non eccedesse quella che per se stessa, naturalmente scendendo, potesse acquistare, la botta all’ingiù devrebbe più tosto esser più valida che meno. Io non ho fatto tale esperienza, ma inclino a credere che una palla d’archibuso o d’artiglieria, cadendo da un’altezza quanto si voglia grande, non farà quella percossa che ella fa in una muraglia in lontananza di poche braccia, cioè di così poche, che ’l breve sdrucito, o vogliam dire scissura, da farsi nell’aria non basti a levar l’eccesso della furia sopranaturale impressagli dal fuoco. Questo soverchio impeto di simili tiri sforzati può cagionar qualche deformità nella linea del proietto, facendo ’l principio della parabola meno inclinato e curvo del fine; ma questo, poco o niente può esser di progiudizio al nostro Autore nelle praticali operazioni: tra le quali principale è la composizione d’una tavola per i tiri che dicono di volata, la quale contenga le lontananze delle cadute delle palle tirate secondo tutte le diverse elevazioni; e perché tali proiezzioni si fanno con mortari, e con non molta carica, in questi non essendo sopranaturale l’impeto, i tiri segnano le lor linee assai esattamente.
Ma in tanto procediamo avanti nel trattato, dove l’Autore ci vuole introdurre alla contemplazione ed investigazione dell’impeto del mobile, mentre si muove con moto composto di due; e prima, del composto di due equabili, l’uno orizontale e l’altro perpendicolare.