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che i piccoli fanciulli; e, come da principio dicevamo, cadendo dalla medesima altezza vedesi andare in pezzi una gran trave o una colonna, ma non così un piccolo corrente o un piccol cilindro di marmo. Questa tal quale osservazione mi destò la mente all’investigazione di quello che ora son per dimostrarvi: proprietà veramente ammirabile, poiché tra le infinite figure solide simili tra di loro, pur due non ve ne sono, i momenti delle quali verso le proprie resistenze ritenghino la medesima proporzione.
SIMP. Ora mi fate sovvenire non so che, posto da Aristotele tra le sue Quistioni Mecaniche, mentre vuol render la ragione onde avvenga che i legni, quanto più son lunghi, tanto più son deboli e più si piegano, ben che i più corti sieno più sottili, e i lunghi più grossi; e se io ben mi ricordo, ne riduce la ragione alla semplice leva.
SALV. È verissimo: e perché la soluzione non par che tolga interamente la ragion del dubitare, Monsig. di Guevara, il quale veramente con i suoi dottissimi comentarii ha altamente nobilitata e illustrata quell’opera, si estende con altre più acute specolazioni per sciorre tutte le difficoltà, restando però esso ancora perplesso in questo punto, se crescendosi con la medesima proporzione le lunghezze e le grossezze di tali solide figure, si deva mantenere l’istesso tenore nelle loro robustezze e resistenze nell’esser rotte ed anco nel piegarsi. Io, dopo un lungo pensarvi, ho in questa materia ritrovato quello che seguentemente son per apportarvi. E prima dimostrerò che:
De i prismi o cilindri simili gravi, un solo e unico è quello che si riduce (gravato dal proprio peso) all’ultimo stato tra lo spezzarsi e ’l sostenersi intero: sì che ogni maggiore, come impotente a resistere al proprio peso, si romperà; e ogni minore resiste a qualche forza che gli venga fatta per romperlo.
Sia il prisma grave AB ridotto alla somma lunghezza di sua consistenza, sì che allungato un minimo di più si rompesse: dico, questo esser unico tra tutti i suoi simili (che pur sono infiniti); atto ad esser