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aria dell’altro vaso, pesata ch’ella sia: ma deve questo secondo fiasco esser pieno d’acqua. Apparecchiato il tutto nella maniera detta ed aprendo con lo stile l’animella, l’aria, uscendo con impeto e passando nel vaso dell’acqua, la caccerà fuora per il foro del fondo; ed è manifesto, la quantità dell’acqua che in tal guisa verrà cacciata, essere eguale alla mole e quantità d’aria che dall’altro vaso sarà uscita. Salvata dunque tale acqua, e tornato a pesare il vaso alleggerito dell’aria compressa (il quale suppongo che fusse pesato anche prima, con detta aria sforzata), e detratto, al modo già dichiarato, l’arena superflua, è manifesto, questa essere il giusto peso di tanta aria in mole, quanta è la mole dell’acqua scacciata e salvata; la quale peseremo, e vedremo quante volte il peso suo conterrà il peso della serbata arena, e senza errore potremo affermar, tante volte esser più grave l’acqua dell’aria: la quale non sarà dieci volte altrimenti, come par che stimasse Aristotele, ma ben circa quattrocento, come tale esperienza ne mostra. L’altro modo è più speditivo, e puossi fare con un vaso solo, cioè col primo, accomodato nel modo detto; nel quale non voglio che mettiamo altra aria oltre a quella che naturalmente vi si ritrova, ma voglio che vi cacciamo dell’acqua senza lasciare uscir punto di aria, la quale, dovendo cedere alla sopravvenente acqua, è forza che si comprima. Spintavi dunque più acqua che sia possibile, che pure senza molta violenza vi se ne potrà mettere i tre quarti della tenuta del fiasco, mettasi su la bilancia, e diligentissimamente si pesi; il che fatto, tenendo il vaso col collo in su, si apra l’animella, dando l’uscita all’aria, della quale ne scapperà fuora giustamente quanta è l’acqua contenuta nel fiasco. Uscita che sia l’aria, si torni a metter il vaso in bilancia, il quale per la partita dell’aria si troverà alleggerito; e detratto dal contrappeso il peso superfluo, da esso aremo la gravità di tant’aria quanta è l’acqua del fiasco.
SIMP. Gli artifizii ritrovati da voi non si può dire che non siano sottili e molto ingegnosi: ma mentre mi pare che in apparenza diano intera sodisfazzione all’intelletto, mi metton per un altro verso in confusione. Imperò che, essendo indubitabilmente vero che gli elementi nelle proprie regioni non sono né leggieri né gravi, non posso intender come e dove quella porzione d’aria che parve pesasse, v. g., quattro dramme di rena, debba poi realmente aver tale gravità nell’